Cataclisma a Giugliano 8 Ottobre 1727

Cataclisma a Giugliano 8 Ottobre 1727




 

Questo settembre con la sua calura ci ha fatto esclamare in continuazione quelle frasi fatte che ripetiamo all’infinito: Questo caldo non lo ha mai fatto! Questa pioggia non è mai caduta! Non ci sono più le mezze stagioni anzi non ci sono più le stagioni! E cosi via come se il passato climatico e ciclico del pianeta non esistesse. Nella Biblioteca Comunale di Giugliano è conservato un diario acquistato dalla Civica Amministrazione dagli eredi del notaio Saverio Pirozzi. Questo signore a cavallo tra il 1700 ed il 1800 si è cimentato nel redigere un diario dei maggiori avvenimenti, anche calamitosi, registrati a Giugliano e fuori di Giugliano durante la sua esistenza. In verità una parte del manoscritto è riservata alla costruzione della cronologia dei suoi avi ma questo potrebbe interessare solo i suoi discendenti e lo tralasciamo. Il testo è stato trasportato in scrittura moderna dal dott. Emanuele Coppola al quale va il plauso per il lavoro svolto. La ulteriore trasformazione in linguaggio corrente per la redazione di questo articolo, con tutte le licenze del caso, è la mia. Cosa troviamo in questo diario di tanto catastrofico da unire Giugliano ai disastri naturali che registriamo oggi che “i tempi non sono più quelli di una volta”? Andiamo a leggere. La notte precedente l’8 di ottobre, dell’anno 1727, giorno di santa Brigida, un violento nubifragio si abbatté su Giugliano e le zone vicine. Le cause per il nostro cronista andavano ricercate nella moltitudine dei peccati commessi dalla popolazione che aveva irritato Iddio al punto che volle atterrirla con quel cataclisma dimostrando un segno del suo furore, affinché i peccatori si ravvedessero delle colpe commesse mutando vita. Invero quello che a noi interessa non sono tanto le cause dell’evento quanto i suoi effetti devastanti. In un momento in cui si rifanno infrastrutture e “comodità pubbliche moderne” fare conoscere a progettisti, molto spesso non indigeni, la storia del territorio potrebbe tornare utile. Ultima precisazione storica è quella che l’estensore del racconto ci fornisce in merito alla sua fonte. Il racconto dell’avvenimento era stato tratto da uno molto più lungo ed articolato redatto subito dopo i fatti da Camillo Pirozzi padre del reverendo Agnello. Dunque la “lava” di acqua proveniente dagli alvei di Marano e Calvizzano, portava con sé tronchi d’albero e massi di pietra. Il suo arrivo nel centro antico, per la tortuosità e strettezza delle sue vie, aumentando così la pressione dell’acqua e la sua forza, avrebbe provocato un disastro in vite umane maggiore di quanto si ebbe a registrare. Il livello della stessa si elevò sino ad otto palmi. A Napoli il palmo misurava circa 25 cm. La distanza tra la punta del pollice e quella del mignolo di una mano aperta, per cui dobbiamo ritenere che la visione dei letti che galleggiavano nelle case basse fosse indicativa che il livello dell’acqua era salito oltre il metro e cinquanta e , forse , sino al metro ed ottanta centimetri. La svolta che salvò la parte antica della città , quella compresa tra la “ vutata a lava” , oggi via Marconi, Camposcino e via Cumana, fu l’apertura di due grosse voragini apertesi in via Licante e in Piazza Annunziata ove furono inghiottite le acque salvando la parte antica e distruggendo quella di recente edificata a monte della attuale corso Campano, all’epoca detta strada della AGP. In via Licante la bocca delle voragine, definita piccola, si aprì nello spazio antistante l’attuale ristorante Fenesta Verde trascinando dentro di sè una decina di fabbriche composte da vani terranei. Percorse la zona sottostante la sacrestia della Chiesa della Annunziata, proseguendo sotto il coro, al di sotto della cappella della Madonna della Pace, il cellaio della chiesa per uscire nella pubblica via che portava verso il selicione ed il galdo (il bosco). Lasciò distruzione al suo passaggio: crollò la cupola della chiesa, rifatta l’anno precedente al costo di 2000 ducati, ancora allo stato rustico, crollò un pulpito in marmo sostenuto da due colonne, furono distrutti tutti i sedili in noce e l’intempiatura in oro finissimo costata 6000 ducati. Si dovette trasferire il Santissimo e le rappresentazioni sacre e la chiesa rimase a modo di spelonca utilizzata solo per le sepolture. Sia la Cappella della Pace che il cimitero ebbero danni ai muri ed alla volte e il pavimento venne squarciato in lunghe linee di frattura. Il granaio della chiesa, esistente affianco ad essa, sulla pubblica strada, investito dalle acque e dalla voragine crollò al suolo con la perdita di 100 tomole di grano. La gente riusciva a mettersi in salvo perché la voragine era preceduta da un abbassamento del terreno che si manifestava nella parte esterna del suo percorso sotterraneo salvo aprirsi dopo alcuni minuti e sprofondare nel buio. All’altezza del selicione la voragine si introdusse sotto i fabbricati devastando per prima quelli attorno al cortile di Capocotta detto Cannavara, posto dove a settentrione vi è il giardino della AGP, per poi portare la distruzione nella zona della via de Marotti inghiottendo e facendo crollare ogni fabbricato che incontrava sul suo cammino. Distrusse il cortile dei fratelli Cimmino, posto ad oriente della via de Marotti, quello di Sabatino Patrarca, quello del rev. Francesco Micillo. Quello di Giulio Micillo fi parzialmente distrutto ed acquistato successivamente dal padre del notaro Vincenzo Majone, lasciando una parte a beneficio di don Domenico de Micillis, vescovo di Bojano. Dopo la casa dei Micillo fu rasa a suolo ogni costruzione posta a destra ed a sinistra sino ai giardini della casa del signora di Scafata, fino alla viarella della Starza. Come un serpente la voragine camminò sino a quella che oggi, al 1800, è la casa di Andrea Basile e correndo lungo la pubblica via arrivò sino a certe botteghe ove, al 1800, vi è il caffè di Gennaro Carmerlingo proprio di fronte Miciano. In questo tratto la profondità era tale che si vedevano le fabbriche inghiottite ancora intere. In quel tratto sconvolse le proprietà di don Bonifacio Golino ove erano conservate riserve di grano e grano d’India della Cappella della Pace e botti di vino di recente vendemmia appartenente sempre alla citata cappella. A quel punto la più larga e nuova strada di Giugliano era ridotta ad un cavone. Ma la distruzione non era terminata. Il “gorgo” uscì nel Vico Pozzo e dopo avere attraversato e distrutto la casa di Giuseppe Moraca e il giardino postico, poi divenuto proprietà del rev. Agnello Pirozzi, e il cortile dei Camerlingo sbucò in vico san Marcellino, nel giardino di don Vincenzo Borrelli e poi in vico Olmo ove una grande voragine provocò gran danno al palazzo che era stato di Orazio Montesano. Attraversò la casa di Cesare Micillo, il giardino del notaio Nicola Andrea Porcelli e distrusse totalmente la casa di don Paolo Cacciapuoti. Una grande bocca si aprì poco fuori il vico dell’Impiso ove provocò danni alla casa del reverendo Giovanni Pucino e dove per lungo tempo la gente poteva udire il vento sotterraneo che la attraversava. Alla fine, dopo avere distrutta la casa del rev. Ettore Ciccarelli, terminò il suo cammino di distruzione nella Starza grande, da poco acquistata dal principe di Stigliano. Quest’ultimo fece fare varie prove per stabilirne la profondità ma senza ottenere dato certo. Alla fine il danno fu quantizzato in centinaia di migliaia di ducati contando oltre 200 fabbricati tra quelli crollati e quelli danneggiati Il dato che ricaviamo da questa narrazione è che la zona attorno alla Annunziata (Licante, Selcione, Vico Giulia, rione de Gasperi) e la parte a mezzogiorno del corso Campano (Vico Miciano, Vico dell’Olmo, Vico Pozzo, vico Cacciapuoti, via Roma), furono interessate da un fenomeno naturale di imbibizione del terreno da parte delle acque di infiltrazione superficiale che, erodendo man mano i terreni del sottosuolo, processo avvenuto nel tempo, giorno dopo giorno, ha poi provocato un istantaneo e violento collasso delle enormi masse di terreno, ormai saturo d’acqua, che erano servite per colmare i letti di ruscelli e corsi d’acqua in epoca postica il 1600 al fine di ricavarne sia la piazza che la strada della AGP nonché la possibilità edificatoria di quella che era ritenuta una zona fuori dall’abitato ove venne realizzata un sorta di new town residenziale. Insomma l’acqua si era ripreso il suo naturale corso di ruscellamento, la sua vecchia strada. È un semplice dato storico ma potrà essere utile per una comprensione degli interventi compiuti sull’area perché sapere non è mai male.

Settembre 2015
Antonio Pio Iannone
Pro Loco Giugliano