Enrico II di Guisa

Enrico II di Guisa




 

Da questo nobile, destinato alla carriera ecclesiastica, nominato arcivescovo a 15 anni, finito ciambellano del re di Francia, prende corpo il nostro racconto di uno di quegli episodi che amo definire come “ Giugliano nella storia”.
Procediamo con ordine e, come mio solito, dopo una breve disgressione. Nella narrazione del massacro di Giugliano del 1495 abbiamo visto come la comunità locale fosse divisa tra filo-aragonesi e filo-francesi. Del resto con i repentini cambiamenti di potere, e la mai salda gestione di questo da parte della casa d’Aragona, era ovvio che interessi contrastanti si diffondessero in un parteggiare per l’uno o per l’altro contendente.
Nel registro dei battesimi della parrocchia di san Giovanni di Giugliano vi è un lungo certificato di nascita inerente un bambino di nome Giovan Battista Basile figlio di Giulio. Nella minuta descrizione della nascita, del novembre 1559, cosa riservata solo ai nascituri della casa Pinelli o di famiglia nobili a questa collegata, di riferisce che tra i tanti che vengono a rendere omaggio al nascituro vi sono delegati del cugino del re di Francia, in quel momento a Napoli. Chiaramente doveva trattarsi di una famiglia filofrancese di notevole livello sociale.
Pochi anni prima l’ennesimo tentativo di riconquistare il regno di Napoli da parte di un rappresentate di casa Lorena. Francesco di Guisa, che si riteneva autorizzato a ciò in quanto discendente degli Angiò, aveva tentato l’impresa, nel 1556, su sollecitazione di papa Paolo IV, un Carafa della Stadera, nato in Irpinia, che operava attraverso un suo nipote, il cardinale Carlo Carafa di Montorio. Quest’ultimo, morto lo zio, non fu risparmiato dal successore al soglio pontificio, quel Pio IV che, nel 1561, lo condanno a morte.
Detto ciò veniamo a quello che accadde subito dopo la rivolta di Masaniello.
Rivolta di norma presentata come un moto spontaneo nato da un litigio del cognato di Aniello con un esattore della gabella del pesce ma che in verità aveva qualcosa altro alle spalle. La sua breve durata fu probabilmente determinata proprio da coloro che in nome di una Real Repubblica Napoletana, già nel nome una grande contraddizione, ma siamo in una epoca che il solo accostare i concetti di repubblica a quello di reale era un atto rivoluzionario, lo lasciarono nelle mani del vicerè per poi invocare la discesa dei francesi come garanti di una nuova stagione politica napoletana.
Siamo nell’autunno del 1647, Enrico II di Guisa scende in Italia con un suo esercito.
Pone il suo campo a Giugliano. Perché strategicamente idoneo al controllo dell’Appia e della Domitiana? Perché si può controllare Aversa, citta Regia? Perché vi la presenza di una folta presenza di sostenitori della sua casata? Allo stato non lo sappiamo. Quello che conosciamo lo possiamo leggere in un accenno del Basile e nella cronaca redatta dal Capecelatro nel suo diario.
Sappiamo che al suo esercito forte di oltre 5000 uomini affiancò una milizia locale forte di 500 sostenitori.
Il Basile, nel 1800, lo riporta, in modo sibillino, come una presenza sgradita tant’è, riferisce, che il vescovo di Aversa, un altro Carafa, fa avvertire i parroci locali di nascondere gli oggetti preziosi. Insomma temeva il saccheggio. Cosa che non avvenne.
Uno dei primi provvedimenti del Guisa fu l’editto che intimava i “ potecari” locali di non aumentare i prezzi dei generi alimentari pena la tortura dei tratti di corda, ovvero l’essere appesi per le braccia legati dietro la schiena e sollevati in aria per un certo numero di volte. Insomma non era una sanzione amministrativa. Stabilisce inoltre che per i soldati che rubavano merce o non pagavano i “potecari” vi era la fucilazione ed , infine, il divieto di vendere ai soldati il pane che andava consegnato al delegato dell’ esercito.
I sindaci eletti di Giugliano, in quel momento, erano Michele d’Orta, Pietro Felicella e Francesco Pragliola.
I giuglianesi parteciparono attivamente alle operazioni belliche. L’assalto alle fosse del grano di Napoli li vide, assieme al popolo di sant’Antimo, guadagnarsi una triste fama: quella di oltraggiare i cadaveri dei soldati nemici mozzando loro la testa e portandola in trionfo ficcata sopra una pertica. Operazione che ripetettero dopo l’agguato messo in atto nella pineta di Licola ai danni di una colonna di soldati spagnoli che portavano rifornimenti a Napoli.
Parteciparono all’assalto di Aversa e stavano per espugnarla quando contro di loro intervenne la cavalleria spagnola alla cui testa si era posto lo stesso vescovo Carafa.
I giuglianesi, riporta i Capecelatro, fortificarono le loro posizioni con trincee e barricate ed ai combattimenti parteciparono le donne in modo attivo.
Quello che in questa breve descrizione mi preme riportare è la descrizione successiva della divisione in seno alla popolazione locale.
Se tanti partecipavano alle battaglie contro gli spagnoli altri parteggiavano per questi apertamente e si arrivò allo scontro tra fazioni.
I filospagnoli guidati da un tale soprannominato “duca” assalirono i filofrancesi, rifugiatosi nella chiesa dell’Annunziata , dopo averne fortificato il campanile. Noi non sappiamo questo campanile dove fosse situato. Di certo in quel momento lo spiazzo dinanzi la chiesa era chiuso da un cortile cinto da muri. I filofrancesi si erano posti in una situazione favorevole e inflissero perdite agli avversari uccidendo lo stesso “ duca”.
Alla fine il Guisa entrò in collisione coi repubblicani napoletani e dovette scappare. Imprigionato fu trattato con ogni riguardo e fini i suoi giorni in Francia da uomo libero come collaboratore del Re Luigi XIV.
Probabilmente la successiva repressione fu feroce marcando ancora di più la divisione nell’ambito locale che sfocierà in altri gesti di ribellione spontanea della parte meno abbiente verso quella possidente ma di questi fatti ne parleremo in altra occasione.

Pio Iannone